Oziofobia, se il “dolce far niente” crea ansia.
- Stefania Antonetti
- 1 ago
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Quando la produttività è all’ordine del giorno e il “non fare” o “fare niente” diventa fonte di stress, insomma quando fermarsi spaventa, rende inquieti e ansiosi si soffre di oziofobia. Un disagio psicofisico, silenzioso e sconosciuto a cui si fa fatica a credere. Eppure, c’è.
di Stefania Antonetti
“Il non fare nulla è la cosa più difficile del mondo, la più difficile e la più intellettuale”, sosteneva Oscar Wilde. “E non è un peccato non fare nulla” tanto meno “è una malattia annoiarsi di tanto in tanto”, aggiunge la scienza. “Anzi: ci rende migliori” concludono gli psicologici. Eppure, eppure! La noia ci spaventa. Nell’era dei social, dove tutti fanno tutto, fermarsi è diventato quasi una colpa. Occorre essere sempre produttivi e in movimento con l’agenda fitta di impegni. Ne consegue che esseri liberi dalla routine lavorativa e con del tempo da dedicare alle proprie attività preferite o anche a nessuna attività, può trasformarsi in nervosismo, inquietudine e ansia. Un malessere bizzarro e irrazionale che secondo lo studio “What workers want” del 2020, curato dall’agenzia internazionale di reclutamento Hays, interessa però il 53% dei lavoratori.
È l’oziofobia
Alla base del fenomeno c’è un pensiero di eccessiva produttività ed efficienza che antepone alla felicità le conquiste e i successi. Tutto nasce dalla necessità che per stare bene, occorre sentirsi sempre impegnati, anche quando ci si dovrebbe riposare. Non a caso in una società come la nostra basata sull’immagine, il fatto di essere sempre connessi e rincorsi dagli impegni di lavoro è sinonimo di successo professionale, quasi uno status symbol. Insomma, se è vero che “la libertà è fare ciò che si desidera”, come diceva il filosofo britannico John Stuart Mills, oggi avere troppo tempo libero paradossalmente può creare ansia e portare ad attacchi di panico.
Rafael Santandreu
Fu lui psicologo spagnolo a coniare il termine “oziofobia” (traduzione italiana di “ociofobia”). L’esperto definì così per la prima volta la paura di non avere qualcosa da fare, una paura che è diventata pian piano un problema sempre più ampio e complesso. Se ne sono accorti in primis gli psicologi quando hanno iniziato ad avere nei propri studi sempre più pazienti ossessionati dal lavoro oppure persone che ricorrevano al lavoro per evadere dai problemi che non volevano affrontare. E invece occorre farlo. Perché, come asseriva lo psicologo Roberto Assagioli, considerato da Sigmund Freud il padre italiano della psicosintesi: “la vita non procede per riempimento di vuoti ma per conquista di spazi interiori”. “L’introspezione è difatti un viaggio interiore fondamentale per accettarsi e superare le paure - spiegano gli esperti. Chi soffre di oziofobia evita di guardarsi dentro. È importante rivolgersi quindi ad un professionista in grado di offrire un supporto concreto”
Soffrire di oziofobia: chi e quando
In linea di massima, le persone più soggette sono quelle che hanno più responsabilità o compiti quotidiani. Infatti, avendo la maggior parte della giornata occupata da impegni, quando percepiscono di avere del tempo libero sentono la necessità di prendere il controllo della situazione e cercarne di nuovi. “Tuttavia, la fobia del tempo libero può colpire chiunque, non fa certo distinzioni di “classe” o di “titolo di lavoro” - spiegano gli esperti. Non è solo legata a dirigenti e manager, può manifestarsi difatti in tutte le aree e livelli e può comparire durante tutto l’anno. Sono soprattutto però i giorni di festa e l’estate i momenti in cui si verifica di più, ossia quando la persona dispone di molte ore libere, e non sa cosa farsene, a causa del carico di impegni che normalmente contraddistingue la sua quotidianità”.
Sintomi e cause
L’ansia è il principale sintomo. Nello specifico, nelle persone oziofobiche, quando si rendono conto che non hanno programmi e devono affrontare del tempo libero, si verifica un’intensa attivazione del sistema nervoso simpatico. Ciò avviene perché sono normalmente influenzati dal pensiero di un’eccessiva produttività ed efficienza. In una scala di priorità al primo posto vengono così collocati i risultati e i successi chiaramente a discapito della felicità. E tra le cause riconducibili all’oziofobia troviamo sicuramente la frenesia che caratterizza l’attuale società; una tendenza quest’ultima che spinge a voler sempre di più e a non accontentarsi mai. Ma anche la paura di perdere il controllo o della mancanza di pianificazione che potrebbero portare alla noia.
L’importanza dell’ozio.
Da una ricerca condotta dalla Pennsylvania State University del 2018 è emerso che nel weekend i livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) tendono paradossalmente ad essere più elevati rispetto ai giorni feriali. “Occorrerebbe invece essere in grado di calmare la mente dal suo incessante lavorio almeno nei momenti liberi e godere del vero ozio. Parliamo di una risorsa fondamentale che sarebbe utile imparare a coltivare poiché apporta enormi benefici alle nostre vite - spiegano psicologici e psicoterapeuti. Il concetto di tempo libero deve essere quindi rivalutato: deve tornare ad essere una pausa dagli stimoli del mondo per riconnetterci con i nostri bisogni e per comprendere ciò che è realmente salutare per noi. Un aiuto che permette di ricaricarci e vivere vite più serene”.
Oziofobia e social
Tra i vari fattori che alimentano l’oziofobia, una menzione speciale va fatta ai social network, poiché rappresentano delle vetrine virtuali attraverso le quali cerchiamo di rimandare al mondo un’immagine ideale di noi e delle nostre vite caratterizzate da successo, esperienze positive e perfezione estetica. A spiegarlo bene in un’intervista a Fanpage.it è stato lo psicologo e psicoterapeuta dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, Davide Carlotta: “Ha molto a che fare con la vita dei social, proprio perché siamo esposti a questa realtà parallela dove tutti fanno tutto, tutti fanno cose stupende, per cui si può avere un po’ questo senso di fastidio, di vedersi in una condizione di minorità. È un problema che non si applica solo al restare tagliati fuori dalle cose, ma anche a tutti gli aspetti legati all’immagine. Un altro fattore in gioco è il valore che diamo all’essere produttivi, l’impegnarci, la performance: questi aspetti mettono poi in ombra l’utilità non solo del non fare nulla, dell’annoiarti, ma anche solo del tempo dedicato allo svago. Finiamo per considerare il tempo libero una perdita di tempo, perché non siamo impegnati a fare soldi o ad affermarci, a fare cose per il lavoro e per la carriera. È uno stretto parente del workaholism”.
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