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Il ritmo circadiano


Piante, moscerini della frutta, uomini: la nostra vita si organizza naturalmente su un lungo valzer di 24 ore. Interromperlo, modificarlo o invertirlo per lavoro, viaggi o altri interessi - come il tablet fino a tarda notte - ha effetti immediati durante la veglia e sullo stato di salute generale, dalla mancanza di concentrazione fino all’aumento della pressione. Così se il 40% degli italiani dorme regolarmente meno del dovuto, almeno la metà sviluppa un disturbo del sonno. L’importanza dello stile di vita, dall’esposizione alla luce all’alimentazione, la melatonina, le terapie

Intervista a Giuseppe Plazzi

• Professore Associato di Neurologia, Università di Bologna

• Direttore del Centro per lo Studio e la Cura dei Disturbi del Sonno, Università di Bologna e IRCCS delle Scienze Neurologiche di Bologna

di Luisa Castellini

Quale impulso ha dato alle ricerche sui disturbi del sonno il Nobel per la Medicina sui ritmi circadiani?

È il primo Nobel che premia lo studio dei disturbi del sonno. Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young, hanno ricevuto il Nobel nel 2017 per il contributo allo studio dei ritmi circadiani nell’animale che è stato maggiormente indagato, la Drosophila melanogaster, il moscerino della frutta. Hanno dimostrato come le differenze individuali siano geneticamente determinate e interessino anche le specie inferiori. Così ci sono moscerini che dormono meno o si svegliano più tardi, con implicazioni importanti - che si studiano con tecniche molto sofisticate - dall’alimentazione all’apprendimento.

Quali i risvolti?

Si tratta di una scoperta di scienza di base: i ricercatori hanno dimostrano che i ritmi circadiani sono espressi anche a livello cellulare. Questo significa che ogni cellula “pulsa” in modo diverso nelle 24 ore. Molta attenzione è stata prestata all’impatto della luce e del buio oltre che della temperatura e sull’espressione della melatonina, una sostanza importantissima nel coordinamento dei nostri orologi biologici. L’applicazione più importante è sulla terapia cognitivo-comportamentale dei disturbi del sonno e del ritmo.

Dal moscerino della frutta all’uomo, in quale direzione?

Nell’uomo gli studi sono più complessi ma, al tempo stesso, semplici: non è necessario studiare una cellula ma i centri che coordinano questi ritmi nel cervello. Oggi sappiamo che sono due. Uno localizzato in una zona a diretto contatto con gli occhi, il nucleo soprachiasmatico. L’altro, che è il direttore d’orchestra di tutti i nostri ritmi biologici, è l’ipotalamo.

Quali sono i numeri dell’insonnia?

In Europa i dati derivano da studi epidemiologici, che sono stime elaborate su piccole coorti di pazienti. Le percentuali sono poi estese alla popolazione generale e sono molto affidabili. Per quanto riguarda l’insonnia, si stima che il 10% della popolazione ne soffra in modo cronico; in via transitoria la percentuale cresce fino al 30-35%. È il disturbo più frequente e ha cause molteplici. Spesso è un sintomo, ovvero ha cause sottostanti, ma il 20% degli insonni tende poi a soffrirne in modo cronico, slegandosi dalla patologia che l’ha scatenata.

Come sono le stime sulla privazione di sonno?

Importanti. Non si tratta di un disturbo ma di una condizione di stress cronico che interessa almeno il 40% della popolazione. Quasi una persona su due dorme meno di quello che dovrebbe, in media almeno una mezz’ora. Questo ha implicazioni sulla qualità di vita diurna, dalla sonnolenza ai disturbi dell’attenzione e dell’umore.

In quali casi si tratta di disturbi?

Il 20% della popolazione lavorativa sviluppa dei veri e propri disturbi del sonno. Si tratta dello Shift order disorder tipico dei lavoratori turnisti. Si manifesta sia con la difficoltà a prendere sonno quando si vorrebbe dormire, sia con disturbi della vigilanza durante la veglia. Non bisogna dimenticare che la cattiva qualità del sonno ha un impatto diretto sulla vigilanza. Cresce il rischio di fare errori, anche sul lavoro, aumentano i disturbi dell’attenzione, la sonnolenza fino ai colpi di sonno, che sono spesso la causa di incidenti drammatici. Non dimentichiamo, infine, i bambini e i ragazzi, che non sono turnisti ma spesso trascorrono troppe ore la sera tra televisione e cellulari dormendo poco.

Quali sono i meccanismi con cui funziona la melatonina?

È un ormone, una sostanza naturalmente prodotta dalla ghiandola pineale, che contribuisce all’inizio e al mantenimento del sonno. È secreta durante la notte, al buio, e viene soppressa dalla luce. Da qui le precauzioni che tutti dovrebbero avere per facilitare il riposo ovvero evitare di sopprimere la produzione di melatonina endogena con la presenza di fonti luminose come quella blu, di tablet e cellulari. Anche per questo i nuovi modelli hanno una luminosità modulabile nelle 24 ore.

Come si assume?

La melatonina non è un sonnifero. Se si assume bisogna farlo a orari in cui il cervello la produce, quindi la sera e alla stessa ora. Grande attenzione va posta negli anziani, che spesso soffrono di frammentazione del sonno: la melatonina può avere un effetto sedativo importante e quindi aumentare il rischio di cadute.

Quali sono le correlazioni patologiche più studiate?

La riduzione di sonno conduce a un aumento di sovrappeso e obesità e a una condizione di insulino-resistenza. Aumenta la pressione, in particolare i valori diasistolici, quindi implicitamente il rischio per il cuore e il circolo. Senza dimenticare gli effetti su attenzione, concentrazione e memoria.

Quando è il momento di rivolgersi a uno specialista?

I disturbi sono più frequenti nei maschi anche se quelli secondari, corollari ai disturbi dell’umore, sono invece più numerosi nelle donne. Quando la stanchezza persiste e l’insonnia non regredisce è il momento di consultare uno specialista. Il primo intervento è sull’igiene del sonno. La terapia cognitivo-comportamentale dà ottimi risultati. Una corretta terapia farmacologica può essere indicata per un certo periodo. Importante evitare l’auto-prescrizione di ansiolitici e ipnoinducenti e di sottovalutare il problema. Anche in caso di quadri di depressione o ansia, l’insonnia va trattata come un disturbo a se per evitare il suo cronicizzarsi.

 

QUANDO SI LAVORA DI NOTTE

È fondamentale dedicare il giusto tempo al riposo: una necessità spesso disattesa, perché il turnista tende a stare sveglio finché riesce. Questo può accadere per 2,3 anche 5 ore: col sonno si recupererà, ma solo in parte. Oggi i turni notturni sono molto più tutelati e impongono un recupero di 36 ore proprio perché il riposo è essenziale per la salute. Da non sottovalutare, inoltre, l’esposizione alla luce. Il turnista deve lavorare in ambienti ben illuminati per sopprimere la produzione di melatonina e stimolare la veglia. Una volta giunto a casa, dovrebbe dormire al buio o in penombra evitando di coricarsi subito dopo aver mangiato.

IL RITMO CIRCADIANO

Dal latino circa diem, intorno al giorno, il termine è coniato nel ’900 da Franz Halberg, ma già nel ‘700 iniziano i primi studi sui movimenti delle piante alla luce e al buio.

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