Cresce in Italia il fenomeno delle dimissioni volontarie. Un’ondata senza precedenti, improvvisa e inconfutabile che spinge i giovani a non cercare o a lasciare l’agognato posto fisso. Una risposta ai tanti mesi di pandemia ma anche un sostanziale e inarrestabile cambiamento dei paradigmi lavorativi.
di Stefania Antonetti
C’era una volta il posto fisso e la carriera a tutti i costi. Così recita “Quo Vado” il film campione di incassi di Checco Zalone, in cui si racconta la storia di un giovane ossessionato dal posto fisso. E quando una riforma della Pubblica Amministrazione rischia di farlo saltare, il giovane farà il possibile pur di preservarlo. Tutto da rivedere. Perché nell’anno 2022, l’impianto del lavoro tradizionale, gerarchizzato, basato su performance e produttività, inizia a scricchiolare e tra i giovani crolla il sogno del lavoro fisso.
LE NUOVE TENDENZE
Se la “Yolo Generation” o “Yolo Economy” è la nuova “moda” che spinge i giovani a non cercare il posto fisso di lavoro perché: “si vive una volta sola”, oggi si affianca un altro fenomeno: quello delle dimissioni. Una fuga occupazionale che, secondo i dati del Ministero del Lavoro, è sempre più in crescita. I dati sono chiari: nel secondo trimestre del 2021 si è registrato un aumento del numero di contratti conclusi a causa della decisione di dipendenti che hanno volontariamente chiuso il rapporto di lavoro. Su un totale di 2,5 milioni di contratti cessati, sono state registrate quasi mezzo milione di dimissioni di cui 292mila da parte di uomini, 191mila da parte di donne.
FIOCCANO LE DIMISSIONI
Leggendo i dati del Ministero del Lavoro, tra le regioni italiane si registra una notevole differenza riguardo il tasso di variazione delle chiusure dei rapporti di lavoro. È superiore nel Centro con + 69,1%, pari a + 275mila chiusure rispetto al Nord che registra a sua volta + 39,3% pari a + 298mila, mentre il Mezzogiorno segna un + 33,2% pari a + 213mila chiusure lavorative. La crescita varia anche a seconda dei settori; il più coinvolto risulta essere quello della sanità/sociale che registra un + 44%. Un dato strettamente legato alla pandemia che ha visto gli operatori sanitari impegnati in prima linea nell’emergenza e che hanno preferito rassegnare le dimissioni perché fortemente provati dagli sforzi fisici e psicologici.
GIOVANI ABBANDONANO
A lasciare è soprattutto la fascia d’età 26-35 anni impiegata nel Nord Italia. È quanto emerge da un’ulteriore indagine, condotta dall’Associazione per la Direzione del Personale (Aidp), effettuata su un campione di circa 600 aziende. Alla base delle dimissioni volontarie ci sono: la ripresa del mercato del lavoro (48%), la ricerca di condizioni economiche più favorevoli (47%), l’aspirazione a un maggior equilibrio tra vita privata e lavorativa (41%) e, infine, la ricerca di più opportunità di carriera (38%). Dimissioni imputabili, inoltre, per il 25% delle persone alla ricerca di un nuovo senso della vita e per il 20% a un clima di lavoro negativo interno all’azienda. Ad incidere sicuramente la pandemia che ha rimescolato le carte in tavola, modificando l’atteggiamento nei confronti del lavoro.
I SETTORI PIÙ COLPITI
Dalla ricerca dell’Aidp emerge che: “a scegliere di dimettersi sono soprattutto coloro che lavorano in campo informatico e digitale (32%), nella produzione (28%) e nel settore marketing e commerciale (27%). Il 60% delle aziende si trova così costretto a dover far fronte al fenomeno delle dimissioni volontarie e nella maggior parte dei casi le stesse aziende sono state colte di sorpresa rispetto ad una tendenza senza precedenti e assolutamente inattesa”.
UN FENOMENO QUASI PARADOSSALE
Una nuova tendenza giovanile che fonda il suo “credo”: “sulla ricerca di posti di lavoro maggiormente soddisfacenti da un punto di vista umano, in grado di garantire più equilibrio tra vita privata e lavoro”. Fenomeno sicuramente curioso, in un paese come l’Italia, caratterizzato da un alto tasso di disoccupazione che è esploso quando milioni di lavoratori hanno perso il lavoro a causa della pandemia. I direttori del personale intervistati spiegano a chiare lettere che: “il fenomeno dimostra quanto sia cambiata la percezione che le persone hanno del senso del lavoro e per il 30% di quanto, invece, è cambiato il mercato del lavoro stesso”.
IL MAGAZZINIERE: IL PIÙ RICHIESTO
Secondo l’analisi realizzata da Randstad sugli annunci di lavoro di inizio 2022, i più ricercati sono il magazziniere, l’operaio metalmeccanico e l’infermiere, seguiti da altri 12 profili che complessivamente rappresentano quasi 4mila posizioni aperte. In Italia, dunque, al netto del magazziniere, dell’operaio metalmeccanico/addetto al montaggio e dell’infermiere, le altre 12 figure più ricercate sono: l’addetto al call center, l’impiegato amministrativo, l’operatore di macchine utensili, l’operatore sociosanitario, l’elettricista, lo sviluppatore Java, il saldatore, l’operatore alimentare, il system administrator, l’addetto alle macchine legno, l’operatore pluriservizi nella Gdo/horeca e l’addetto all’help desk.
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