Sembra che il peggio sia passato. Ma alle volte, usciti dalla malattia, non si riesce a liberarsi dei suoi sintomi. La Covid, può infatti faticare a uscire completamente dal nostro organismo, trasformandosi in una sindrome post-COVID con la quale convivere anche per mesi.
di Beatrice Spagoni
Stanchezza e insonnia, dolori muscolari e articolari, fame d’aria e tanti altri sintomi alle volte tardano a sparire, anche dopo mesi dalla negativizzazione, lasciando un residuo della malattia. I medici hanno radunato queste molteplici manifestazioni fisiche, neurologiche e psichiatriche in una sindrome a cui hanno dato il nome di Long-COVID.
Quali sono i sintomi?
Secondo il dottor Sandro Iannaccone, primario dell’unità di riabilitazione disturbi neurologici cognitivi motori dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, «dopo un anno di pandemia, possiamo affermare che la maggior parte delle persone si porta dietro uno strascico di questa malattia per diverso tempo». Anche l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, sostiene che “in alcune persone i sintomi possono permanere anche per diversi mesi”. Non si tratta solo di disturbi fisici ma anche neurologici o psichiatrici, tra cui perdita della memoria e difficoltà di concentrazione, fino ad arrivare ad una vera e propria sindrome post-traumatica da stress, come quella che ha colpito gli operatori sanitari, messi a dura prova fisica e psicologica dopo un anno di pandemia.
Quanto possono durare?
I disturbi che lamentano le persona guarite da COVID-19 solo in alcuni casi risultano diminuire nel giro delle prime settimane, in molti altri casi, invece, possono durare anche per sei mesi. Questo è la Long COVID, il protrarsi nel paziente di uno o più sintomi della malattia dopo due mesi dalla negativizzazione. In questo periodo, la persona soffre ancora dei sintomi della malattia, ma non è più infettiva. Nel 60-70 % dei casi i disturbi sono legati soprattutto a dolori e debolezza muscolari o articolari, ma non demordono neanche stanchezza persistente, mal di testa, mancanza di respiro, anosmia, febbre, tachicardia, disturbi intestinali e manifestazioni cutanee. Sono poi le manifestazioni di tipo neurologico e psichiatrico ad essere le più lente ad andarsene, tra di esse difficoltà di concentrazione e attenzione, perdita di memoria, disfunzione cognitiva o brain fog (nebbia mentale), e la sindrome post-traumatica da stress a cui accennavamo.
Possibili cause
Ma quali possono essere le cause che scatenano questa catena di reazioni a lungo termine?
L’ipotesi più probabile è la reazione infiammatoria del nostro fisico all’attacco della malattia, con i conseguenti fenomeni di trombosi, che possono “lasciare il segno”, compromettendo gli organi colpiti. Ma anche la reazione autoimmune che scatena il virus SARS-CoV-2, è una grande imputata. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, infatti, «il virus può presentare alcune similitudini con componenti dell’organismo e far generare anticorpi che possono reagire anche contro i nostri organi o tessuti». Tra i bersagli più probabili, oltre ai polmoni, il cuore, i reni, il cervello e l’apparato muscolo-scheletrico. L’ipotesi autoimmune potrebbe giustificare anche un altro fattore tipico della sindrome Long COVID, ovvero la maggior incidenza nelle donne, che, per fattori genetici e ormonali, hanno una risposta immune più forte rispetto agli uomini.
Probabili fattori di rischio
Come dicevamo, le donne hanno maggiori probabilità di sviluppare la Long COVID. Fino ai 60 anni, hanno, addirittura, il doppio delle probabilità rispetto agli uomini di sviluppare la sindrome. “Essere donna” è dunque un grande fattore di rischio. Le cose peggiorano se l’età è avanzata o l’indice di massa corporea è più alto. L’obesità e l’età avanzata diventano quindi altri pericoli piuttosto importanti, come l’essere asmatici. Un primo studio dei ricercatori del King’s College di Londra, (ancora da sottoporre a revisione paritaria), ha poi osservato che i pazienti con almeno cinque sintomi nella prima settimana di malattia, quali tosse, affaticamento, mal di testa, diarrea, perdita dell’olfatto, sarebbero maggiormente suscettibili di sviluppare la sindrome Long COVID.
Cosa si può fare
È ancora presto per sviluppare terapie o comportamenti che possano aiutare ad uscire da questi sintomi. Dopo solo un anno di osservazione della malattia, i medici non sanno ancora se potrà lasciare segni permanenti, ma sono d’accordo sul fatto che una risposta di riabilitazione precoce e rapida aiuti molto una buona ripresa. Un altro aiuto potrebbe arrivare anche dai vaccini che, secondo i ricercatori della Columbia University di New York City, darebbero una spinta al sistema immunitario ad espellere il virus dall’organismo. Ne è testimone il 30-50% di persone affette da Long COVID che, dopo avere fatto il vaccino, afferma di aver riscontrato un miglioramento dei sintomi.
Foto © Depositphotos.com
Comments