di Stefania Antonetti
I PLIN, GLI IRRINUNCIABILI “PIZZICOTTI” PIEMONTESI
Parte integrante della tradizione culinaria piemontese, gli agnolotti del plin conquistano anche a Pasqua. Originari della zona delle Langhe e del Monferrato sono un piatto tipico a base di pasta fresca all’uovo ripiena di un misto di carni stufate e verdure. Più piccoli dei classici ravioli e agnolotti, si caratterizzano per la forma peculiare, ottenuta sigillando la pasta con un pizzicotto, il “plin” in dialetto locale. Dalle origini incerte, non c’è dubbio che siano nati come ricetta di riciclo degli avanzi, carni cotte e verdure nelle famiglie più abbienti ed erbe di campo e riso in quelle più modeste. Era usanza inoltre servire gli agnolotti “al tovagliolo”; una volta cotti e scolati, venivano posati all’interno di un tovagliolo, così che non perdessero morbidezza e accompagnati a un brodo leggero, servito a parte in tazza oppure con del vino rosso. Una tradizione popolare oggi fortemente rivalutata. E se di tradizione si parla occorre precisare che la pasta deve essere tirata finissima, tale da renderla plastica e resistente alla cottura e solo cinque sono i sughi che possono accompagnarli. Si sposano bene con il sugo di carne arrosto; con burro, salvia e formaggio di grana; con carne al ragù tipica del Piemonte; oppure cucinati assieme al brodo di carne o con del sugo che contenga vino.
LA TORTA PASQUALINA: GLI ANNI DI CRISTO
Arriva dall’antica tradizione culinaria ligure: è la torta Pasqualina! Una specialità genovese, la cui origine sembra risalire al XV secolo. Citata per la prima volta dal letterario Ortensio Lando nel documento “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevono” -e soprannominata “Gattafura”, in dialetto “rubata dalla gatta”- è un piatto salato, cotto al forno e ripieno di verdure, uova e formaggio. Una sorta di glorificazione delle abilità delle cuoche, che riuscivano a sovrapporre sino a trentatré sfoglie per omaggiare gli anni di Cristo. Ieri, come oggi è il simbolo della Pasqua. Buona calda e fredda, è ideale anche per le scampagnate del Lunedì dell’Angelo. Oltre alle uova intere e al formaggio, si possono utilizzare erbette, piselli, cipolline e carciofi, ma anche borragini, bietole e spinaci. Nella versione originale non mancano la maggiorana e la prescinsêua, tipico formaggio ligure cagliato. La sfoglia: la tradizione vuole che se ne facessero ben 33 strati e tutti sottilissimi, numero oggi sicuramente diminuito. Anche il tipo di pasta è particolare: è preparata con acqua, farina e olio di oliva, ma senza lievito. Una pasta che assieme al ripieno, formaggio e uova intere cotte in forno, diventano sode e creano un affetto sorpresa.
LA COLOMBA PASQUALE: IL DOLCE “RECICLATO”
Simbolo di pace e amore è il dolce della Pasqua per eccellenza. E tra leggende e realtà vanta una tradizione lunghissima. Pare che la Colomba risalga già al 570 dc in piena epoca longobarda. Ma quella che conosciamo oggi ha origini ben più recenti. Tutto parte nel 1930 da un’idea del pubblicitario Dino Villani che lavorava per un’azienda dolciaria milanese (Motta) e che pensò di commercializzare un dolce tipico per Pasqua, risparmiando. Come? “Riciclando” l’impasto e i macchinari utilizzati per la produzione del panettone. Ma la vera innovazione stava nella forma e nella superficie rivestita con glassa all’amaretto e mandorle. Ingredienti semplici, dalla procedura però laboriosa. La ricetta classica prevede infatti tre lievitazioni. Nel primo impasto occorrono farina, acqua, latte e lievito, impasto che dovrà lievitare per un paio d’ore. Poi si passa al secondo, ciò vuol dire aggiungere farina, zucchero e burro da far lievitare per un’ora e mezza. Farina, burro, uvetta, uova, zucchero, sale, vaniglia e arance candite saranno aggiunti al precedente impasto che dovrà lievitare altre sedici ore, dopodiché si sistema tutto nello stampo a forma di colomba. Si copre con la glassa preparata con farina e amido di mais, albume, zucchero di canna, mandorle e nocciole e prima di infornare è possibile aggiungere altre mandorle e granella di zucchero.
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