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Emicrania oggi


Riconoscerla e curarla


Intervista a Grazia Sances


• Responsabile UOS DIAGNOSI E CURA DELLE CEFALEE

• IRCCS Istituto Neurologico Nazionale Mondino di Pavia


di Beatrice Spagoni


Si discute spesso di mal di testa, generalizzando le sue, ahimè, notevoli “sfaccettature”. Per evitare questo vogliamo cercare di capire l’emicrania, una delle forme primarie di cefalea, spesso, purtroppo, invalidante. Per conoscerla meglio abbiamo chiesto alla neurologa Grazia Sances di parlarcene.


Che cos’è l’emicrania?

L’emicrania è una forma primaria di cefalea, considerata un “disturbo multifattoriale” in quanto vari fattori contribuiscono a che un individuo ne soffra. La familiarità è un aspetto importante (nella maggior parte dei casi il paziente emicranico ha altri famigliari che ne soffrono), come pure l’essere donna, in quanto l’emicrania è prevalente nel sesso femminile con un rapporto femmine:maschi di 3:1. Nel corso della vita la presenza di malattie comorbide (spesso disturbi d’ansia e dell’umore, l’ipertensione e varie altre) e di alcuni fattori scatenanti possono modificarne l’andamento con crisi più frequenti e più forti. Fattori scatenanti di vario tipo, non uguali per tutti e non costanti anche nello stesso paziente, contribuiscono a modificare andamento e severità dell’emicrania. Vari fattori esterni ed interni, agendo insieme, possono modificare la cosiddetta “soglia emicranica” del paziente, portando ad una maggiore o minore probabilità di sviluppare l’attacco che si verifica quando la soglia si abbassa. La patogenesi dell’emicrania non è ancora del tutto nota. Viene considerata un disordine neurovascolare che interessa vari neurotrasmettitori e varie strutture cerebrali.


Come possiamo riconoscerla?

Nella maggior parte dei casi, la diagnosi di emicrania è clinica e si basa sulla storia del paziente. La Classificazione Internazionale delle Cefalee (ICHD-3) ci fornisce dei criteri su cui basarsi per la diagnosi: dolore più spesso unilaterale, a lato alternante (ma può essere anche bilaterale), di carattere in genere pulsante e di intensità moderata-forte (spesso crea disabilità parziale o completa nelle normali attività e sul lavoro), che si aggrava con i normali movimenti, come camminare o salire le scale. Tipicamente, al dolore si associano alcuni sintomi come nausea e/o vomito, intolleranza a luce e rumori e, spesso, anche agli odori.


Esistono diversi tipi di emicrania?

Sì, in particolare l’emicrania senza aura, la forma più comune che ha i sintomi di cui abbiamo appena parlato, e la meno frequente emicrania con aura, in cui, prima del dolore, si manifestano alcuni sintomi neurologici più spesso di tipo visivo (visione offuscata, visione di macchie scure o bagliori, linee zig-zag, spettri di fortificazione); in alcuni casi, invece, si possono avere disturbi della sensibilità, tipo formicolio e/o anestesia ad un braccio ed emivolto, o disturbi della parola con difficoltà ad esprimersi. Questi sintomi durano in genere da 10 minuti a 1 ora, poi scompaiono senza lasciare sintomi, quindi insorge la crisi di cefalea (che può anche non avere tutte le caratteristiche dell’emicrania). In una forma rara di aura, definita “emicrania emiplegica”, l’aura si manifesta anche con perdita della forza negli arti da un lato, come una paresi; si presenta spesso in più componenti della stessa famiglia ed è l’unica forma per cui è stata riconosciuta una anomalia genetica cromosomica. L’emicrania può evolvere nel corso degli anni, con l’incremento della frequenza degli attacchi. È così che diventa cronica, cioè presente almeno 15 giorni al mese o addirittura quotidianamente. Il conseguente uso elevato di farmaci sintomatici (forma che si definisce “cefalea cronica da abuso di farmaci sintomatici”) la complica, rendendola più complessa nella gestione e nelle terapie a cui, spesso, è refrattaria.



Quali sono i rimedi e le cure per affrontarla? Ci sono delle novità?

Quando le crisi hanno una bassa frequenza mensile, ovvero non più di 4 giorni al mese, il percorso terapeutico del paziente emicranico prevede l’uso dei soli farmaci sintomatici (triptani, analgesici, ergotaminici, farmaci di combinazione, analgesici oppioidi). Per le forme di emicrania con crisi disabilitanti per 4 o più giorni al mese o in quelle che non rispondono ai soli sintomatici, è necessario iniziare una terapia di profilassi. Sino al 2019 i farmaci disponibili erano non specifici, molecole utilizzate per altre patologie e che, casualmente, per “serendipity”, si erano rilevati utili anche nel trattamento dell’emicrania. Fanno parte di questi beta-bloccanti, calcio-antagonisti, alcuni farmaci ad azione sulla serotonina, gli antidepressivi triciclici, alcuni antiepilettici (in particolare valproato, topiramato, gabapentin), la diidroergotamina e alcuni farmaci utilizzati nel trattamento dell’ipertensione (sartani). Tutti questi farmaci non selettivi, possono avere, frequentemente, una scarsa tollerabilità per via di effetti collaterali di vario tipo che portano alla sospensione, anche precoce, del trattamento. La tossina botulinica A è utilizzata solo nelle forme di emicrania cronica, per cui ha indicazione ed è somministrata in ospedale. Ma, da fine 2018, dopo un lungo periodo di digiuno farmacologico in questo campo, è disponibile una nuova classe farmacologica studiata e sviluppata appositamente per la terapia di profilassi dell’emicrania: gli anticorpi monoclonali anti-CGRP (Calcitonin Gene Related Peptide), erenumab, galcanezumab e fremanezumab. Il CGPR è, infatti, un neuromediatore chiave nella patogenesi dell’emicrania. L’importanza di questi anticorpi è quindi correlata alla loro alta specificità e selettività d’azione. Inoltre, sia negli studi clinici sia nella somministrazione nella pratica clinica, hanno mostrato una tollerabilità molto buona con scarsi effetti collaterali, situazione che permette al paziente una buona aderenza al trattamento nel tempo.


Ci sono dei comportamenti da evitare per ridurre la possibilità di scatenarla?

Il paziente emicranico è definito, spesso, una persona che tollera male situazioni di “variabilità” e quindi tutto ciò che modifica i ritmi di vita. Pertanto, una prima regola per l’emicranico sarebbe di mantenere normali abitudini. Evitare quindi variazioni eccessive dei ritmi del sonno come, ad esempio, non ritardare di molto il risveglio nei giorni non lavorativi per eludere la possibile “cefalea del weekend”. Evitare un’alimentazione troppo pesante ed elaborata, soprattutto di sera, ed alimenti che si siano individuati come possibili fattori scatenanti degli attacchi. È utile anche limitare l’esposizione a fonti di rumore eccessivo e fonti luminose come pure ambienti molto profumati, che possono essere fattori scatenanti di un attacco emicranico. Ove possibile, è anche opportuno ridurre le situazioni di stress, soprattutto lo stress cronico, ma anche le posture scorrette e prolungate. Un comportamento virtuoso sarebbe sicuramente quello di fare quotidianamente dell’attività fisica moderata ed aerobica (va benissimo una camminata veloce di 30-40 minuti). L’attività fisica regolare può ridurre, infatti, la frequenza e l’intensità degli attacchi emicranici, in quanto stimola la produzione di endorfine, sostanze che ci permettono di sentire meno il dolore. Anche le tecniche di rilassamento e gestione dello stress sono utili nel migliorare l’emicrania, come pure cercare di porsi obiettivi appaganti e raggiungibili. Diciamo pure che una vita “sregolata” nelle abitudini non va d’accordo con l’emicrania.


È possibile distinguere emicrania/cefalea da Covid rispetto ad un’emicrania tipica? E’ stato compreso il rapporto Covid-emicrania?

Nell’infezione da Covid-19, la cefalea è sicuramente un sintomo molto frequente (11-14% dei pazienti ospedalizzati e fino al 60% dei contagiati). Spesso è anche un sintomo molto precoce e si può manifestare per la prima volta in persone che non ne hanno mai sofferto, oppure, con un netto peggioramento di intensità e resistenza ai trattamenti abituali in pazienti che già ne soffrono. Questa cefalea può essere presente anche in assenza di febbre e i suoi caratteri, durante l’infezione da Covid-19, possono essere non ben specificati, quindi, non sempre tipici dell’emicrania. Per quanto riguarda i possibili meccanismi patofisiologici della cefalea da Covid-19, in fase iniziale di infezione sarebbe rilevante l’attivazione delle terminazioni nervose trigeminali periferiche da parte della SARS-CoV-2, mentre in fase più avanzata di malattia sarebbe importante l’ipossia. Anche nella fase definita “long Covid” la cefalea può essere presente e persistente nel tempo, pertanto va considerata come possibile sequela dell’infezione e, in alcuni casi, è una cefalea, a volte anche con caratteri di emicrania, che risponde meno ai farmaci abituali sia preventivi che di profilassi.

 

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