Quando ci sediamo a tavola, siamo attenti a “cosa” e “quanto” mangiamo. Le diete ci indicano cosa evitare, cosa fa male, le quantità a cui attenerci, e noi abbiamo imparato a seguirle, o almeno, a tenerne conto. Ma siamo altrettanto attenti a “come” mangiamo, ovvero alla qualità del nostro cibo come elemento determinante di scelta, al suo metodo di coltivazione e produzione che può diventare decisivo e fa la differenza per il benessere della nostra vita?
di Beatrice Spagoni
Cosa intendiamo con qualità?
Secondo teorie recenti, l’omologazione della dieta senza una scelta attenta della qualità dei prodotti e degli ingredienti stessi (intesa come capacità nutritiva), sta portando all’insorgenza di patologie, come l’infiammazione intestinale, problemi cardiovascolari o epatici e tumori.
Uno dei motivi che “stuzzicarebbe” queste patologie sarebbe la presenza sul mercato di cibo coltivato solo da una limitata varietà di piante. Infatti, secondo la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), nell’ultimo secolo abbiamo perso il 75% delle diversità genetica vegetale della produzione di cibo, arrivando ad alterare il tipo di apporto nutritivo a cui il nostro organismo era “abituato” da secoli.
Biodiversità
In altre parole, la standardizzazione della coltivazione per garantire rese agricole elevate allo scopo di sfamare più popolazione possibile, iniziata intorno agli anni ’40 del ‘900 con la cosiddetta “rivoluzione verde” (uso di varietà vegetali geneticamente modificate, fertilizzanti, ecc.), ha portato come “effetto collaterale” non solo l’uso di sostanze nocive, che, come ampiamente dimostrato, attaccano direttamente il nostro fisico (vedi il glifosato), ma anche alla riduzione della biodiversità, tanto importante sia per l’ambiente sia, evidentemente, per la salute del nostro organismo. A risentire di più di questa situazione nell’essere umano è la comunità dei microorganismi simbiotici del nostro corpo, il microbiota umano, un delicato ecosistema interno che, alterandosi, può abbassare il sistema delle nostre difese immunitarie, aprendo la strada all’insorgenza di patologie.
Cosa fare? L’agroecologia
In soccorso a questa situazione, ancora la FAO chiede di sostituire la fallimentare pratica della produzione agricola perseguita dalla “rivoluzione verde” con il suo conseguente impatto ambientale, con l’agroecologia, un’agricoltura possibile per il pianeta, che applica i principi dell’ecologia alla produzione alimentare e ad una grande quantità di altre produzioni. È “scienza e pratica” che integra principi e tecniche per aumentare la produzione di cibo e biomateriali conservando e migliorando gli ecosistemi.
A sostegno di queste tesi, si battono da anni anche tante organizzazioni ambientaliste come Navdanya International fondata da Vandana Shiva. Non a caso, la nota attivista ambientalista indiana, Vandana Shiva, con l’organizzazione Navdanya International, è tra le curatrici del manifesto Food for Health, uno strumento che ha lo scopo proprio di dar voce alla visione di un futuro più sostenibile dell’alimentazione e dell’agricoltura.
Noi possiamo sopravvivere come specie solo se viviamo in accordo alle leggi della biosfera. La biosfera può soddisfare i bisogni di tutti se l’economia globale rispetta i limiti imposti dalla sostenibilità e dalla giustizia.
Come ci ha ricordato Gandhi: “La Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di alcune persone.”
- Vandana Shiva
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