L’insufficienza cardiaca è una condizione clinica complessa, in costante aumento nella popolazione generale. Dagli anni ’80 a oggi sono state introdotte molte nuove cure che hanno migliorato in modo significativo prognosi e qualità di vita. Alle terapie mediche si è affiancata la messa a punto di dispositivi impiantabili in grado di supportare la funzione del cuore insufficiente e oggi la ricerca guarda alle possibili alternative al trapianto: con quali prospettive?
Intervista a Edoardo Gronda
Specialista in Cardiologia
Consulente Scientifico di ALT, Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari > trombosi.org
di Luisa Castellini
In Italia ci sono 1-1,5 milioni di soggetti con un danno cardiaco sintomatico o asintomatico. Il 10-12% sta perdendo o ha perso la risposta clinica alle cure e quindi sta peggiorando. Per questo la ricerca scientifica è orientata alla messa a punto di sistemi elettromeccanici impiantabili a livello del cuore che consentano al muscolo cardiaco insufficiente di mantenere la perfusione degli organi e degli apparati, come soluzione alternativa al trapianto di cuore, soluzione limitata dalla carente disponibilità di donatori.
Quando la sostituzione del cuore diventa una necessità?
Nonostante i progressi conseguiti nelle cure per lo scompenso cardiaco, il 10-15% dei pazienti manifesta una progressiva insensibilità alle cure mediche e presenta un’inarrestabile progressione della malattia. Con l’aggravamento, solo il trapianto di cuore ha mostrato di fornire un’adeguata risposta in termini di guadagno di vita, reinserimento sociale e contenimento dei costi. Tuttavia la domanda eccede di gran lunga la possibilità di soddisfarla.
Quali sono i numeri in Italia?
Seguo pazienti che hanno affrontato un trapianto da oltre 30 anni: si tratta di una cura efficace, che può ristabilire una vita normale nella maggior parte dei casi, ma che ovviamente presenta diversi scogli che vanno affrontati ed evitati. Basti pensare che all’anno si eseguono circa 300 trapianti in Italia: questo numero, in una popolazione di 60 milioni, è lo stesso in rapporto alle altre società avanzate.
Come si è orientata la ricerca per rispondere alla distanza tra domanda di trapianto e donatori disponibili?
Si sono messi a punto dei sistemi che costituissero una sorta di ponte verso il trapianto (bridge to transplant) e che consentissero al paziente di sopravvivere in attesa della disponibilità di un organo da donatore oltre i limiti imposti dall’esaurimento della funzione del cuore. Il successo di questi dispositivi nel prolungare la vita dei pazienti in attesa di trapianto ne ha prefigurato l’impiego come alternativa al trapianto quando questo non risulti praticabile. In questo caso si tratta di una soluzione terapeutica definitiva (destination therapy). Grazie ai progressi conseguiti, oggi sono disponibili sofisticati dispositivi impiantabili a livello cardiaco in grado di supportare la circolazione del sangue nell’organismo in modo definitivo a lungo termine. Si tratta di sistemi basati su pompe alimentate elettricamente che sono in grado di generare un flusso sanguigno, in grado di sopperire alle necessità circolatorie sia a riposo che durante la normale attività fisica. I presidi di ultima generazione hanno dato risultati molto buoni, con una sopravvivenza superiore al 70% dopo 2 anni. Si tratta di una percentuale elevata confrontata ai risultati negli anni ‘80 e 90.
Quali sono le problematiche più frequenti?
Questi pazienti sviluppano spesso delle condizioni legate all’alterazione dell’equilibrio del sistema emostatico. All’interno del corpo, ci sono due sistemi che sono in equilibrio instabile l’uno rispetto all’altro e ci proteggono da insulti di vario genere. Uno è il sistema immunitario, che ci difende dagli agenti patogeni. L’altro è il sistema coagulativo, che provvede a riparare qualsiasi lesione si manifesti nel circolo per evitare la perdita di sangue. Questi sistemi sono rapidamente attivabili perché mantenuti in costante equilibrio instabile tra fase attiva e disattiva. Tale equilibrio instabile consente di evitare ogni inerzia nella risposta necessaria al momento e costituisce la garanzia di massima efficacia a fronte di un immediato pericolo. Essendo due sistemi instabili e strettamente connessi, la loro funzione è regolata di volta in volta dalla superficie dei vasi in cui scorre il sangue, ricoperta da un tessuto specifico denominato endotelio. Sebbene i sistemi meccanici di supporto alla circolazione siano strumenti altamente evoluti e sofisticati, essi non sono composti da materiali biologici. Il sangue, venendo a contatto con la loro superficie riceve stimoli inappropriati, che col tempo alterano e danneggiano la stessa struttura complessa del sangue. All’inizio il problema si può controllare con una relativa efficacia mediante il trattamento profilattico anti trombotico, ma poiché il sistema della coagulazione è in stretta simbiosi con quello immunitario, col tempo tale condizione può causare la comparsa di trombosi, di emorragie e di quadri infettivi.
I DATI
La stima epidemiologica,
basata su quanto osservato nei 15 anni precedenti, indica che nell’arco dei prossimi 10-12 anni vi sarà un incremento dei soggetti non più sensibili alle cure per scompenso cardiaco del 30%. Il dato è impressionante soprattutto se si pensa che ancora oggi la migliore terapia disponibile è il trapianto.
L’ENDOTELIO
Sino a pochi anni fa si riteneva che le cellule che ricoprono le pareti dei vasi non avessero funzioni particolari se non di mantenere uniforme la superficie di scorrimento del sangue. Oggi sappiamo che la loro estensione supera il miglio quadrato e che queste cellule sono un organo sensibilissimo la cui funzione è molto più complessa. L’endotelio genera dei segnali che attivano e disattivano la risposta immunitaria e della coagulazione mantenendo entrambi i sistemi in un equilibrio instabile in modo che siano reattivi solo e quando necessario. È una funzione delicatissima: se il sistema della coagulazione si attivasse improvvisamente il sangue diventerebbe gel e moriremmo all’istante.
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