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Le dimensioni del perdono


Non esiste una “misura” nei sentimenti ma la capacità di imparare a gestirli per non lasciare che un’esperienza negativa influenzi la vita, le relazioni e le prospettive future. Empatia, interpretazione e distacco le parole chiave per voltare pagina

Stefania Puglisi

• Psicologo-psicoterapeuta e Mediatore Familiare, Genova

Il perdono psicologico non religioso, è la capacità di “passare oltre” alle offese o ferite inferte dalle persone o dalle circostanze della vita. Dal punto di vista etimologico, perdono è dare completamente, concedere un dono, implica svuotamento e allontanamento da ciò che procura rabbia e dolore. Questo processo scioglie la tensione psichica, libera quelle energie altrimenti impegnate intorno al nodo doloroso. Ne derivano sollievo e vitalità, indispensabili per vivere meglio.

Sorpresa, rabbia, vergogna: i sentimenti di chi è ferito

Un’offesa subita ingiustamente può provocare smarrimento a causa dell’effetto sorpresa e della mancata difesa. In seguito possono esserci reazioni aggressive, etero o auto-dirette. Rabbia, desiderio di vendetta oppure calo dell’autostima, vergogna soprattutto se l’offesa subita è di pubblico dominio o ancora delusione se a ferire è stata una persona cara con cui c’è un profondo legame affettivo.

Il processo del perdono

Occorre mettersi nei panni dell’altro, cercare di interpretare la realtà con un’altra prospettiva, giustificando e comprendendo quelle che possono essere state le motivazioni di chi ha compiuto il gesto offensivo. Se la persona che ha ferito non riconosce la gravità del gesto, fa finta di nulla, si avvicina cercando di ripristinare un contatto non espressamente accettato dalla negoziazione tra i due, il perdono è difficile perché l’offeso sente di non essere importante e di poter essere trattato con superficialità perché il fatto non è grave. I punti di vista si inaspriscono e creano fratture profonde. Se il gesto non è stato grave o intenzionale, se chi ha ferito chiede scusa, il perdono è più facile. Serve comunque tempo, perché sono coinvolti aspetti cognitivi, emotivi e comportamentali. Occorre mettere a tacere il risentimento, la rabbia, il desiderio di vendetta o di punizione, impegnarsi per capire perché l’altra persona ci ha offeso o danneggiato, provare empatia con la posizione dell’altra persona e riflettere sulle conseguenze negative del rancore e sulla sua inutilità. In alcune occasioni potrebbe essere necessario saper perdonare se stessi per un atto sbagliato, reale o percepito come tale. Molte persone potrebbero avere difficoltà a perdonarsi. In questo caso si possono avere problemi di salute, come ansia, depressione e stress, e queste condizioni possono causare sintomi fisici come pressione alta, dolore e affaticamento, o portare all’autolesionismo, intraprendere comportamenti rischiosi e pericolosi come l’abuso di sostanze e alcol.

Le basi psicologiche e le ricerche

Vi sono molti studi scientifici che guardano al perdono come una forma di terapia per raggiungere un maggiore benessere. Uno studio sperimentale condotto dalle università di Yale e Oxford e University College di Londra, ha dimostrato che le persone sono disposte a rivedere rapidamente la valutazione negativa su chi si comporta male, ponendo le basi psicologiche del perdono. Un gruppo di volontari doveva infliggere o meno una scossa elettrica a un’altra persona in cambio di denaro: il “buono” nella maggior parte dei casi rifiutava il compenso, mentre il “cattivo” tendeva a infliggere la scossa per massimizzare il guadagno. Ai volontari veniva poi chiesto quali impressioni avessero avuto sul carattere morale dei due personaggi, e quanto fossero sicuri di queste impressioni. Dall’analisi è emerso che non erano così sicuri che il personaggio cattivo lo fosse davvero, ed erano ben disposti a rivalutarlo in caso di comportamento positivo. Del resto sono molte le persone che intrattengono relazioni con individui moralmente riprovevoli. Dalla ricerca emergeva come il cervello formi impressioni sociali che permettono il perdono. Le persone si comportano male ogni tanto e quindi dobbiamo aggiornare le nostre impressioni per poi rivederle nuovamente per non interrompere relazioni prematuramente perdendone i benefici. La mente è costruita per mantenere le relazioni sociali, anche quando gli altri si comportano male.

 

Perché è sempre meglio perdonare

Quando è difficile o impossibile dimenticare un torto o una situazione negativa, un bisogno fondamentale è stato frustrato: che si tratti di stima, affetto, comprensione o sicurezza, si è aperta una ferita psicologica. Non riuscire a dimenticare significa fermarsi all’accaduto, rappresentare ripetutamente l’episodio negativo, ricordare parole e gesti, immaginare quale sarebbe stata la reazione più adeguata. Rimuginare ha effetti negativi: ingigantisce apprensioni e timori, sedimenta sentimenti negativi, conduce a una percezione più ristretta della realtà e a essere poco presenti nell’agire quotidiano perché proiettati sul passato. La mente è dominata da negatività e non sono da escludere risvolti psicosomatici.

La gravità di un torto? È soggettiva

La profondità della sofferenza di chi subisce un torto dipende dall’intensità del bisogno frustrato, da precedenti esperienze simili, dal tipo di relazione tra i soggetti e da alcuni tratti della personalità che facilitano l’inclinazione a rimuginare o a ingigantire la situazione. Di solito le persone introverse, ansiose o ossessive o con una bassa autostima sono propense a ingigantire gli eventi. Influiscono anche la mancata conoscenza delle ragioni che hanno spinto l’altro all’azione che ha ferito, le aspettative sulla relazione e il tempo. L’intensità di una sofferenza dipende quindi dalla valutazione soggettiva. Ciò che è determinante è il significato particolare che assume l’episodio: spesso a turbare è più l’interpretazione dell’evento. Non l’accaduto ma la rappresentazione che se ne costruisce.

 

Foto © Depositphotos.com

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