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L’ora dello “stile”


La ricetta sana ma gustosa. L’attività sportiva adeguata al proprio fisico. Salute e qualità di vita si costruiscono con tante attenzioni quotidiane e un occhio all’agenda degli screening in collaborazione con Walter Marrocco

• Responsabile scientifico della FIMMG Federazione Italiana Medici di Famiglia

L’alimentazione, naturalmente. L’attività fisica regolare. L’astensione totale dal fumo, oltre che dall’alcol, di cui si consiglia al massimo un uso moderato. Lo “stile” sulla bocca di tutti è quello della salute, che si ottiene senza sconti giorno dopo giorno coltivando le buone abitudini e cercando di eliminare o almeno ridurre quelle negative. «Una migliore qualità di vita si realizza attraverso la prevenzione delle malattie ad alta prevalenza e incidenza come le patologie cardio-cerebro vascolari, osteoarticolari e metaboliche e quindi agendo sugli stili di vita» spiega Walter Marrocco, Responsabile scientifico della Federazione dei Medici di Famiglia. La prevenzione più importante è quella primaria, che evita di arrivare alle patologie e permette di vivere meglio ed è individuale e collettiva - un esempio classico è la vaccinazione, con cui ci si protegge e si tutelano gli altri. A questa si aggiungono gli screening, strumenti di prevenzione validati per particolari patologie, soprattutto tumorali. «Lo screening riguarda malattie di grande rilevanza epidemiologica e deve attenersi a criteri di qualità in termini di linee guida e prove di efficacia. È diverso dal check-up, una parola spesso inflazionata».A livello nazionale si sono dimostrati efficaci alcuni screening che sono proposti gratuitamente. «Per la donna quello del tumore al seno, che prevede la mammografia ogni 2 anni dai 46 ai 79 anni, e lo screening per il tumore alla cervice uterina con il pap test ogni 3 anni tra i 25-64 anni. A tutti è rivolto lo screening del tumore del colon-retto ogni 5 anni dopo i 50 anni. Ai soggetti con familiarità si consiglia ogni 2». La familiarità è un concetto importante: il medico valuta sempre in base alla storia e alle caratteristiche del paziente gli approfondimenti necessari. Uno screening su cui si è molto discusso è quello del tumore alla prostata che oggi non è proposto ma «in caso di disturbi si consiglia di consultare il proprio medico e, sopra i 50 anni, il dosaggio del Psa ed eventualmente un esame ecografico». L’attenzione oggi è alta anche per la cosiddetta prevenzione quaternaria utile anche ad evitare la medicina difensiva. «Oggi si rischia di eccedere nella diagnosi e nelle terapie: il nostro primo obiettivo deve essere l’appropriatezza, intervenendo solo laddove necessario con un indubbio risparmio per il singolo, ma anche per il Sistema Sanitario Nazionale». Il ruolo del medico di famiglia in quest’ottica è fondamentale. «Spesso ci si rivolge a diversi specialisti e ciascuno prescrive una terapia. Il medico di famiglia ha invece una visione complessiva, olistica, e deve equilibrare le varie cure evitando le sovrapposizioni e le interazioni eccessive o negative». Si tratta della capacità di capire quello che il paziente può veramente fare «e quindi anche qualche volta di de-prescrivere, di ridurre gli interventi non strettamente finalizzati al benessere complessivo, evitando qualsiasi forma di medicina difensiva».

In che modo possiamo essere sicuri dei funghi che consumiamo?

Se non li mangiamo al ristorante e non li acquistiamo - l’etichetta del controllo dovrebbe essere in evidenza - ma li abbiamo trovati, è fondamentale portarli alla Asl per l’ispezione micologica, un servizio gratuito attivo su tutto il territorio. Solo così e attraverso una corretta conservazione e un’adeguata cottura possiamo consumarli in sicurezza.

Anche i più esperti possono sbagliare: quali sono le specie che si confondono più facilmente?

I funghi spugnosi (Porcino, Boleto, Finferlo) sono tra i più sicuri. Diverso il caso dei lamellati (Mazza di tamburo, Prataiolo, le Russole) tra i quali c’è un’alta probabilità di confondere le varie specie e di ingerire esemplari con un’alta concentrazione di amanitina.

Qual è il caso più frequente di intossicazione?

La maggior parte dei funghi si consuma in ambienti controllati come i ristoranti che hanno una serie di controlli da rispettare. Le intossicazioni sono riconducibili a un problema di cattiva conservazione nel 10% dei casi: la maggior parte delle volte, invece, il paziente ha mangiato dei funghi che non sono stati controllati e/o ricevuti in regalo. Spesso non sa descrivere il tipo consumato e la diagnosi diventa più difficile. Per il riconoscimento si usano i resti di pulizia e i liquidi biologici.

Cosa distingue i diversi tipi?

Esistono diversi tipi di intossicazione e si distinguono anzi tutto in relazione al periodo che intercorre tra l’ingestione e i sintomi. Le sindromi a breve latenza (30 minuti-6 ore) di norma si risolvono nel giro di un giorno. Quella gastroentestinale (nausea, diarrea, vomito, dolore addominale) è la più frequente. La sindrome panterinica (sonnolenza, agitazione, convulsioni), la muscarinica (sudorazione, ipotensione, difficoltà respiratorie), la psicotropa (allucinazioni) ma anche le altre (coprinica, paxillica, nefrotossica) possono dare conseguenze anche gravi ma in generale non si registrano danni d’organo. Diverso il caso delle sindromi a lunga latenza, dove tra l’ingestione e la comparsa dei sintomi possono trascorrere anche 6-12 ore. La sindrome falloidea, con centinaia di casi ogni anno, è causata da funghi con un’alta concentrazione di amanitina (speci Galerina, Amanita) e danneggia il fegato. La sindrome gyromitrica è più rara e ha come bersaglio il sistema immunitario: a causarla è un fungo che viene spesso confuso con la Spugnola perché sembra un cervello per la forma a spirale ma cresce a primavera. La sindrome orellanica - dal Cortinarius orellanus, il “falso chiodino” - è in grado di danneggiare i reni in 2-3 settimane.

Cosa fare - e non fare - in caso di malessere?

Quando dopo un pasto a base di funghi si accusano dei sintomi gastroenterici è importante contattare subito un Centro Antiveleni o recarsi al Pronto Soccorso per una diagnosi e una cura adeguata. Come non esistono “prove” domestiche per riconoscere i funghi commestibili né cotture o sistemi di conservazione che eliminano le tossine così non esistono cure casalinghe per cui è inutile, tanto per citare un esempio noto, bere il latte. Da evitare anche l’automedicazione, che in certi casi può essere ancora più dannosa: assumere antiemetici blocca il vomito che è un meccanismo di difesa naturale dell’organismo e quindi si prolunga l’intossicazione.

Quali sono le terapie?

Le sindromi a breve latenza di solito sono resinoidi con sintomatologia gastroenterica e si risolvono spontaneamente nelle 24 ore. Per i casi più gravi e le sindromi a lunga latenza non si può parlare di un antidoto ma di un trattamento polifarmacologico che mira a eliminare la tossina e a limitare il danno epatico. Questo è possibile quando conosciamo la tossina responsabile dell’intossicazione. Lavanda gastrica e iperidratazione fanno parte del trattamento.

I funghi sott’olio possono celare, come altre conserve, la tossina del botulino?

Ogni anno si registrano circa 30-60 casi l’anno e ciascuno viene notificato perché si tratta di una questione di salute pubblica. Di solito la tossina si sviluppa nei preparati casalinghi non trattati termicamente con Ph superiore a 4 ma può capitare anche nelle preparazioni industriali.

Qual è il meccanismo della tossina?

La tossina entra nella porzione presinaptica della giunzione muscolare e taglia le molecole che permettono la fusione della vescicola contenente il neuromediatore con la membrana e il suo successivo rilascio, bloccando di fatto l’impulso muscolare. Le spore sono dormienti e si sviluppano solo in determinate condizioni di temperatura, acidità (superiore al ph 4) e umidità e in assenza di ossigeno. Condizioni, tutte, tipiche delle conserve. La tossina botulinica è utilizzata in molti ambiti, dalla cura delle paresi spastiche all’estetica.

Come si manifesta il botulismo alimentare?

È una patologia neurologica gravissima caratterizzata da una neuroparalisi di tipo flaccido con andamento cranioclaudale. Palpebre che cadono, secchezza delle fauci, disturbi visivi, della deglutizione, del linguaggio, difficoltà a respirare sono i sintomi che possono comparire. Nei casi gravi e senza cure tempestive si giunge alla paralisi con morte per soffocamento.! Il Centro Antiveleni di Pavia È attivo 7/7 giorni con servizio h24 per la diagnosi e il trattamento delle intossicazioni acute e croniche, per la gestione sanitaria delle emergenze chimiche e ogni altra problematica clinico-tossicologica. È un punto di riferimento essenziale per i servizi sanitari di soccorso e ospedalieri e i privati. È l’unico centro antiveleni ad essere riferimento per le istituzioni. Il laboratorio è uno dei pochi in grado di rintracciare le tossine epatotossiche dei funghi nelle urine. Gestisce la Banca Dati Antidoti e la Banca Dati Nazionale Analisi Tossicologiche.

Dal bosco alla tavolaRaccolta.

Scegliere solo esemplari commestibili e intatti e non toccare gli altri per preservare l’ecosistema. Non raccogliere funghi lungo le strade o vicino ai centri industriali.Trasporto. Munirsi di contenitori rigidi e areati come i cestini di vimini: consentono la disseminazione delle spore ed evitano la compressione e la fermentazione. No ai sacchetti di plastica che possono provocare la decomposizione. Controlli. Se li abbiamo raccolti, portiamoli al più vicino Ispettorato Micologico della Asl: il servizio è gratuito. Se li acquistiamo, verifichiamo la presenza dell’etichetta che attesta l’avvenuto controllo.Consumo. Non esistono metodi empirici per verificare se il fungo sia commestibile o pratiche che rendono meno tossici quelli velenosi: anche la cottura è inutile perché le tossine più pericolose sono termostabili. I funghi vanno mangiati ben cotti, in quantità moderate e non devono essere dati a bambini, gravide e persone con intolleranze o patologie particolari.Conservazione. Per farli seccare i funghi vanno ben puliti senza lavarli, affettati ed essiccati su un canovaccio pulito e poi conservati in luogo fresco e asciutto. Gli esemplari giovani e non troppo grandi possono essere congelati dopo essere stati sbollentati. Per metterli sott’olio vanno bolliti per 20 minuti in una soluzione con 2/3 di aceto e 1/3 di acqua, scolati e fatti asciugare prima di invasarli con l’olio d’oliva in un contenitore sterilizzato.

Conserve: sott’olio o in salamoia?

Igiene & strumenti. Mani, stoviglie, utensili, piano di lavoro e strofinacci devono essere sempre puliti. Sì al vetro, perfetti i Bormioli da mezzo litro, e alle guarnizioni nuove. I vasetti vanno sterilizzati e dopo conservati al riparo dalla luce. Le pentole? Meglio l’acciaio inox.Ingredienti. Freschi, di stagione, maturi al punto giusto, preparati entro 6-12 ore dalla raccolta.Verifica del Ph. Prima di metterle sott’olio, le verdure vanno sbollentate in una soluzione di acqua e aceto di vino bianco in parti uguali. Importante misurare il ph del liquido finale con una cartina al tornasole: deve essere inferiore a 4. Nelle marmellate, l’acidità e lo zucchero garantiscono la sicurezza. Gelatine e composte vanno acidificate col limone.Salamoia. Deve avere il 10% di sale. La patina bianca in superficie è normale. Finita la fermentazione acida il prodotto va invasato in salamoia fresca.Pastorizzazione. I barattoli pieni e chiusi vanno bolliti in una pentola col coperchio per stabilizzare termicamente gli alimenti. La pastorizzazione va combinata con l’acidificazione e la refrigerazione (+4° C) e a limitati tempi di conservazione. Importante lasciare uno spazio vuoto tra il coperchio e il livello di liquido per la formazione del vuoto nel barattolo.Controllo. Dopo un giorno, a contenitori freddi, verificare che la chiusura sia ermetica e il raggiungimento del vuoto: i tappi devono essere leggermente concavi. Quando l’apriremo, il barattolo dovrà emettere il caratteristico suono. Foto © Depositphotos.com

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