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Pet therapy


Il cane che interrompe la monotonia ospedaliera, il cavallo che infonde sicurezza ed energia, ma anche l’asino, il gatto e il coniglio: negli ultimi vent’anni gli interventi assistiti con gli animali si sono moltiplicati esplorando nuovi ambiti di ricerca. Dai bambini agli anziani, dalla riabilitazione neuromotoria all’autismo, i principi guida, la scelta degli animali e le esperienze italiane Intervista a Francesca Mugnai • Esperta di Pet therapy • Specialista in Interventi Assistiti con gli Animali (IAA) • Referente IAA, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, Firenze • Presidente dell’Associazione Antropozoa Onlus > antropozoa.it di Luisa Castellini I l punto di partenza è il rapporto con gli animali e la sua evoluzione. Quella che oggi ci porta da un estremo all’altro. «Dai cani che non possono entrare nei negozi o al ristorante a chi vorrebbe imporre la loro presenza ovunque, anche in luoghi molto delicati e senza le dovute precauzioni: alla base vi è una lettura antropocentrica dell’animale, che invece ha esigenze diverse da noi». Parola di Francesca Mugnai, massima esperta di Pet therapy in Italia, una disciplina riconosciuta a livello internazionale, dotata di Linee guida nazionali ma che deve ancora essere sistematizzata sul territorio, dove si registrano ancora molte differenze tra Nord e Sud. Nel frattempo sono numerosi i progetti e le iniziative che ogni giorno vedono pazienti e animali lavorare insieme con importanti risultati nei contesti più diversi. In che modo l’animale può diventare il migliore alleato di un paziente? Riconoscendo e contenendo le emozioni, anche le più difficili, e agendo da leva motivazionale nelle situazioni di maggiore stress. Diverse ricerche hanno dimostrato come la presenza del cane aiuti ad abbassare i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, nei bambini sottoposti a prelievi o a trattamenti ad alto tasso di paura (ad esempio odontoiatrici) o prolungati. Altri studi hanno invece evidenziato la dimensione dell’attaccamento: l’ormone che si attiva nella relazione con l’animale è l’ossitocina, lo stesso che lega madre e figlio alla nascita. Il cane è sicuramente protagonista della Pet therapy, in quali contesti? Il migliore amico dell’uomo rappresenta la sicurezza ma anche la dipendenza e l’attività e influisce positivamente sulla motivazione. È utilissimo per spronare all’attività motoria, quindi a chi deve affrontare una fisioterapia. Gli anziani traggono molti benefici dalla convivenza col cane: oltre alla compagnia, dona un ritmo alle giornate (le passeggiate, i pasti) e forza, o quasi, ad uscire aiutando la socializzazione con l’incontro di altri proprietari di pet. Nei pazienti con Alzheimer riesce a stimolare la presenza cognitiva ed è nota la sua utilità in ambito psichiatrico, nella terapia occupazionale e nelle fattorie educative. Ogni animale racchiude un archetipo: chi trae giovamento dal contatto con i gatti? Il gatto è simbolo di libertà e creatività: è consigliato alle persone che soffrono di depressione e in generale nei disturbi psichiatrici. Stimola il contatto fisico e l’osservazione senza quell’aspetto proattivo tipico del cane. Anche per le donne, proprio perché correlato alla libertà, è un amico fedele in caso di traumi. È un animale dotato di affettività ma chiede meno nella relazione rispetto al cane. Per bambini, anziani e pazienti allettati è spesso di grande compagnia ma le allergie sono molto comuni per cui è difficile inserirlo in contesti sanitari e va attentamente monitorato sotto l’aspetto comportamentale. Anche il coniglio richiama l’affettività, in questo caso unita alla tenerezza e all’accudimento, perché è e sarà sempre piccolo, indifeso e stimola il senso di protezione. Quali sono le caratteristiche che portano il cavallo e l’asino a essere al centro di diversi progetti di cura? Il primo è simbolo di forza ed energia: i bambini che devono affrontare una riabilitazione neuromotoria, le donne che hanno subito traumi o interventi invasivi hanno molti benefici dal contatto con questo animale, che si rivela utile per recuperare un io fragile e sospeso. L’asino è più mansueto, gentile e curioso, meno energico ed è un buon amico: per questo è molto richiesto con i bambini che soffrono di autismo. In che modo la Pet therapy seleziona e tutela gli animali? L’animale deve essere in perfetta salute ed educato, e quindi capace di un’interazione spontanea. È fondamentale che ogni intervento sia ben organizzato dal punto di vista igienico-sanitario. Bisogna distinguere anche tra cani che sostengono l’essere umano per specifiche necessità: ci sono quelli addestrati, da ausilio per persone con disturbi di epilessia o non vedenti che devono imparare a riconoscere odori/ormoni specifici o a essere guida del proprio compagno umano. Questi cani hanno una formazione completamente diversa, un addestramento rigoroso e complesso, ma una funzione emotiva e un ruolo che non ha niente a che fare con il cane impiegato in Pet therapy. Negli Interventi Assistiti con gli Animali, si fa riferimento al protocollo nazionale elaborato alcuni anni fa dall’Infettivologia del Meyer a Firenze, che è stato recepito da tutti reparti dell’ospedale e poi si è diffuso nelle altre strutture. Molta ispirazione proviene dalla Germania e dal Nord Europa, dove ci sono un rapporto diverso con l’animale, maggiore attenzione all’aspetto igienico-sanitario e alla ricerca con progetti interdisciplinari. Come è la situazione italiana? L’Italia, insieme alla Norvegia, è l’unico paese ad avere una normativa specifica. Le Linee guida per gli Interventi Assistiti con gli Animali sono state emanate nel 2015 e ogni Regione le ha recepite con una propria normativa. Ogni operatore deve avere una determinata formazione e lavorare in équipe: ci sono diversi corsi riconosciuti, accreditati dalle Regioni, ma manca ancora un codice deontologico. L’Italia vive la Pet therapy a tre dimensioni, con grandi differenze tra Nord, Centro e Sud, ma contemporaneamente ha alcune grandi eccellenze. Come si avvia un percorso di Pet therapy? Di solito è il singolo, o nel caso di un minore i genitori, a contattare un ente o un’associazione attivi sul territorio per avere informazioni sui possibili percorsi, che per lo più sono a pagamento, ma progettati e approvati dai Servizi di Igiene Urbana Veterinaria delle Asl e socio-educativi. Quali sono le esperienze più note in Italia? Da quasi vent’anni l’Ospedale Meyer a Firenze e il Niguarda da più tempo a Milano realizzano Interventi Assistiti con gli Animali con successo. Al Meyer i cani avvicinano i piccoli pazienti di qualsiasi reparto, dalla chirurgia all’oncologia. Il Niguarda ha attivo un protocollo con i bambini con paralisi cerebrali in un maneggio interno. Sempre a Milano, l’ospedale Borromeo ha varato un progetto per pazienti psichiatrici adulti, che all’Istituto San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Genzano (Roma) possono interagire con gli asini dal 2008. Da questi esempi si evince come la riabilitazione equestre sia per lo più impiegata per patologie neuropsichiatriche. A Cagliari si sta aggiungendo l’esperienza del reparto di oncologia del Microcitemico. Quando è possibile un intervento con un animale? Anzi tutto quando è possibile esporre il paziente all’incontro: in particolare bisogna valutare le situazioni di immunodepressione con attenzione. Il medico curante, oltre a dare il benestare, deve anche ritenere che la terapia assistita con animali possa giovare al paziente, in termini di evidenza ed efficacia clinica. Su quali fronti si sta muovendo la ricerca? Antropozoa – una delle prime realtà italiane a occuparsi di Pet therapy – ha un Centro Studi dedicato alla ricerca, alle nuove frontiere esplorative nell’ambito degli IAA e alla divulgazione di un modello corretto e supervisionato di interventi in ambito clinico e di cura. In particolare siamo attenti alla dimensione infantile: anche prima dell’adolescenza, molti bambini soffrono di disturbi del comportamento, di attacchi di panico o sono coinvolti in dinamiche di bullismo. L’animale in queste situazioni diventa un mezzo per lavorare sull’empatia e fare importanti opere di prevenzione. Un versante più tecnico riguarda invece la definizione di migliori protocolli igienico-sanitari e di standard etici per garantire il benessere e il rispetto dell’animale. Dall’America all’Italia Corrono gli anni ’60 quando lo psichiatra e terapeuta Boris Levinson nota che la presenza del suo cane alle sedute con i bambini autistici aumenta le loro capacità di attivazione. Nascono così gli Interventi Assistiti con gli Animali, che mettono in campo diversi specialisti (medici, infermieri, psicomotricisti, psicologi, psicoterapeuti, pedagogisti, veterinari) nell’ambito di specifici programmi educativi, riabilitativi o sociali. La loro efficacia è stata dimostrata nei reparti di neurochirurgia, neurologia e oncologia, nelle procedure dolorose come i prelievi e le sedute di odontoiatria. La Pet therapy ha effetti positivi sulla socializzazione (depressione, autismo, disturbi dello sviluppo) e sulla sfera cognitiva (disturbi psichiatrici e neurologici), emotiva e motoria. In Italia arriva negli anni ’80 con alcuni convegni e seminari medico-sanitari e si diffonde velocemente grazie all’impegno delle associazioni.

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