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Un’arte, una città, una famiglia


Medicina e farmacia a Piacenza dalle memorie di casa Corvi

Antonio Corvi

• Officina Farmaceutica Corvi, Piacenza

Forse le tre parole che compongono il titolo avrebbero dovuto avere un ordine diverso perché se la famiglia è stata espressione dell’arte farmaceutica, questa si è sviluppata all’interno di una città in cui la cura della salute ha avuto un’importanza e una precocità che altre non possono vantare. Il primo segno dell’arte di curare a Piacenza è stato il Fegato etrusco. Apparteneva a una persona che di sicuro conosceva l’anatomia umana, probabilmente un medico e un aruspice. In seguito conoscemmo la figura del medico militare, quando arrivarono le legioni romane i cui soldati erano curati e medicati essendo i protagonisti della conquista di un Impero. Qualche secolo dopo, ecco i monaci irlandesi di San Colombano come testimoniano i documenti del monastero di S. Gallo, risalenti a prima del 1000, degli stessi monaci impegnati in una civilizzazione di ritorno. I monaci di Bobbio vennero chiamati anche a Piacenza in un ospizio-convento locale. Il XIII secolo è aureo per Piacenza, con la spezieria di piazza Duomo, quando i primi inventari conosciuti sono genovesi, della seconda metà del ’200. Nel contratto di affitto del 1309 la spezieria è fornita di attrezzature e massericium (arredo), segno che l’attività era consolidata. Intono al 1240 a Piacenza operava il grande Guglielmo da Saliceto: il suo secondo libro, il Summa conservationis corporis, che comprende anche una piccola farmacopea, reca la dedica al Priore di S. Ambrogio, un ospedaletto che sorgeva in prossimità di S. Savino. Sommo chirurgo, era chiamato anche dai notabili di Cremona e Pavia e dopo 20 anni si trasferiva a Bologna a insegnare. Per tutto il Medioevo le spezierie aumentarono al punto di costituirsi in corporazione autonoma nel Collegio dei mercanti, i cui primi Consoli furono spesso un farmacista e un orefice. Alla metà del ‘500 Gerolamo Illica istituirà la Farmacia dei Poveri e correggerà il suo testamento in favore del Collegio dei Mercanti. Un’altra condizione favorevole ai farmacisti pubblici fu il divieto di vendita dei medicinali da parte dei Religiosi che, come i frati di S. Maria in Campagna, avevano nel ‘700 una scuola per i novizi destinati alle infermerie conventuali della provincia. Tutto questo dimostra come la richiesta di salute a Piacenza sia stata forte e la farmacia abbia fruito di una certa benevolenza della popolazione e dell’autorità, fatta eccezione per una levata di scudi da parte del Collegio dei Medici dopo la peste del 1630, risolta una volta ottenuta una tariffa dei medicinali (1650) e il diritto di partecipare alle visite ispettive alle spezierie. Segue la nomina di nuovi santi protettori, gli anargiri - perché curavano senza chiedere compenso - Cosma e Damiano, che rappresenteranno da allora le due categorie come appare nel frontespizio della Tasse dei medicinali del 1699. Qui un giovane Damiano offre la pianta salutifera (elleboro?) e il medico Cosma convalida il prodotto finito. Queste considerazioni vorrebbero rispondere alla sorpresa che ha colto i farmacisti italiani all’uscita del mio libro nell’apprendere che proprio a Piacenza la farmacia ha radici così antiche come quelle della famiglia Corvi. Le vicende che ho narrato saranno state certo comuni a quelle dei colleghi, come la saldezza dei principi deontologici e la coscienza di giovare a qualcuno che vince la monotonia quotidiana. Non si può tuttavia negare che la continuità della famiglia Corvi abbia avuto momenti in cui le circostanze favorevoli hanno giocato un ruolo determinante. Già nel secondo ‘700 una controversia di carattere economico tra zio e nipote avrebbe potuto far fallire l’azienda e solo un provvidenziale intervento del Governatore apriva al giovane la porta del centro commerciale che allora era molto più importante di oggi. Il secondo Antonio della famiglia può essere considerato il secondo fondatore della farmacia e con le sue non comuni qualità riuscirà a costruirsi un palazzo di proprietà nel 1790. I suoi successori parteciparono alle aste indette da Napoleone superando un periodo di crisi, ma si prestarono allo sviluppo della comunità. Il primo, Giovanni, tra i fondatori della Camera di Commercio, e il terzo, Antonio, come presidente dello stesso ente per 10 anni. Tra i suoi figli vi fu uno dei pochi volontari che seguirono Garibaldi nella II Guerra di Indipendenza. La famiglia fu fedele al governo del Ducato, ma non ebbe un atteggiamento reazionario quando la patria divenne più grande. Due suoi esponenti, Luigi II e il fratello Giuseppe, parteciparono al primo conflitto mondiale, riuscendo poi a tamponare la crisi che si era aperta con la loro assenza. Il lungo periodo di pace, di cui le ultime due generazioni hanno goduto, ha rafforzato la convinzione di poter andare ancora avanti, anche se le condizioni di libertà individuale soffrono il peso di un’oppressione politica favorevole al grande capitale. Tuttavia le radici da cui prendiamo forza si collegano a una tradizione ancora più profonda: sono 800 anni che la farmacia fondata dall’Imperatore Federico II a Melfi si è diffusa in tutto il mondo rappresentando il primo punto di riferimento per la salute dei cittadini.

 

La famiglia Corvi ha iniziato l’attività ufficialmente nel 1715: le dieci generazioni che si sono susseguite rappresentano un primato in Italia e, forse, in Europa.

 

© Officina Farmaceutica Corvi per le immagini

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