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Anca: il grande passo


Con l’avanzare dell’età, artrosi e fratture conducono sempre più spesso alla chirurgia tanto che l’artroprotesi dell’anca è stata definita l’intervento del secolo. In Italia si contano circa 100mila nuovi impianti l’anno: la maggior parte sono destinati alle donne, molto più soggette all’osteoporosi e quindi alle fratture, ma non mancano neppure i giovani. Le indicazioni, l’evoluzione dei materiali, le tecniche mini-invasive, la riabilitazione e i consigli per il ritorno alla vita di tutti i giorni. Intervista a Dante Dallari • Specialista in Ortopedia e in Tecnologie Biomediche • Direttore della Struttura Complessa Chirurgia Ortopedica Ricostruttiva Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna > ior.it di Luisa Castellini Il giorno dopo ci si alza in piedi. Il momento è temuto da tutti i pazienti ma è quello che li ha spronati ad affrontare con fiducia quello che è stato definito già nel 2007 sulle autorevoli pagine di “Lancet” l’intervento del secolo per frequenza e risultati, sempre migliori grazie a un’evoluzione che negli ultimi 10 anni ha subito una forte accelerata, come racconta Dante Dallari, direttore della Chirurgia Ortopedica Ricostruttiva dello IOR. L’Istituto Ortopedico Rizzoli esegue il maggior numero di interventi in Italia ed è un punto di riferimento internazionale per la sua attività di ricerca clinica e di base volta a migliorare tecniche, materiali e percorsi in ortopedia. Perché ci si opera sempre più spesso all’anca? In primis per l’aumento dell’età media della popolazione e quindi delle patologie degenerative arti-colari ma anche delle richieste funzionali. L’evoluzione dei materiali e delle tecniche chirurgiche consente una maggior durata dell’impianto che permette di eseguire l’intervento anche ai più giovani. Quando si arriva dal chirurgo? Anzi tutto per il dolore, che è diverso da soggetto a soggetto ma può essere gestito solo fino a una certa soglia con i farmaci. C’è poi l’aspetto funzionale, il livello di compromissione dell’anca e la sua influenza sulle altre articolazioni. Muovendola male si compensa sovraccaricando altri distretti, come il rachide. Così anche le normali attività come camminare, sedersi, alzarsi o vestirsi diventano difficili se non impossibili e dolorose. Quali sono le cause più comuni di danno all’anca? L’artrosi, che può essere primaria, secondaria, esito da displasia, epifisiolisi, post-traumatica o correlata ad alcune malattie sistemiche come l’artrite reumatoide. Altro motivo di protesizzazione dell’anca sono le fratture mediali del collo del femore. Le cause più frequenti di artrosi nei pazienti sotto i 50 anni sono i traumi, le osteonecrosi (frequentemente secondarie a chemioterapia per problemi oncologici) e la displasia congenita dell’anca. Quali materiali si impiegano oggi? L’Istituto Ortopedico Rizzoli è stato uno dei primi al mondo ad utilizzare l’accoppiamento ceramica-ceramica nelle superfici di usura per le protesi d’anca. La corretta scelta dei materiali assicura una lunga durata, una buona funzionalità e una rapida ripresa. A livello di tribologia si è calcolato che materiali provati su un simulatore che replica l’attività di un giovane adulto possono resistere all’usura anche 30-35 anni. La scelta è legata alla tipologia di impianto. Nel caso di uno sportivo si può optare per una protesi che consenta maggiore mobilità e assorbimento dei traumi a discapito della durata dell’impianto. Quali criteri si adottano per la fissazione dell’impianto? Le protesi sono nate cementate negli anni ’60-70: oggi vi si ricorre solo se la qualità dell’osso è precaria, ad esempio con l’osteoporosi, frequente negli over 65. Lo stelo, per lo più in titanio poroso che consente un’ottimale osteointegrazione dell’impianto, ha una superficie leggermente ruvida che permette di incastrarlo nell’osso. In che modo le protesi sono sempre più studiate ad hoc per il paziente? L’intervento è valutato secondo il tipo di patologia, l’età, l’attività, e la presenza di altre malattie. Il design dello stelo protesico è personalizzato nella lunghezza e scelto in base alla qualità dell’osso e alla via d’accesso impiegata. Ad esempio in caso di esiti di displasia congenita dell’anca, sono impiegati impianti a stelo conico per compensare le deformità del femore e cotili press-fit impiantati nel paleo-cotile per ripristinare il corretto centro di rotazione dell’anca e la giusta lunghezza dell’arto inferiore. Cosa determina la scelta dell’approccio chirurgico? La situazione clinica, l’età e la corporatura: l’obiettivo è che sia meno invasivo possibile. Questo non per ragioni estetiche, ma per una maggiore tutela delle parti molli, dei muscoli, una minore perdita ematica e un recupero più rapido con una minore degenza e un abbandono precoce degli ausili per camminare. Quando possibile adottiamo tecniche mini-invasive: con accesso anteriore, postero-laterale o laterale diretto. Come è gestito il postoperatorio? Normalmente il paziente viene posto in piedi il giorno dopo l’intervento e segue un programma di fisioterapia con mobilizzazione dell’anca, del ginocchio e della caviglia. Gli esercizi andranno eseguiti durante la degenza ma anche a casa. Potrebbe essere necessario indossare calze elastiche per prevenire una trombosi venosa profonda. Quali sono le complicazioni più frequenti? Quelle gravi, come l’infezione dell’anca, si verificano in meno dell’1% dei pazienti. Le complicanze più frequenti (nel nostro Istituto il 2% complessive) sono la dismetria, la lussazione, il ritardo della cicatrizzazione e le ossificazioni. SÌ ALLO SPORT MA SENZA ESAGERARE Durante la convalescenza il fisioterapista insegna una serie di esercizi specifici. Completato il recupero, sono consigliate attività a basso impatto come tennis, corsa, nuoto e bicicletta mentre è meglio evitare tutti gli sport che prevedono traumi diretti o indiretti dell’anca o il contatto con gli avversari. NON È PER SEMPRE Il 90% delle protesi dura almeno vent’anni in condizioni ottimali. Un’attività intensa e il sovrappeso possono usurarla più velocemente e un trauma danneggiarla. La revisione della protesi è un intervento più complesso rispetto al primo impianto. A CASA I primi tempi è necessario essere aiutati in alcuni movimenti. In bagno sono utili un rialzo per il wc, una barra di sicurezza o una sedia per la doccia. È comunque vietato bagnare i punti o le graffette fino alla rimozione, 3 settimane dopo l’intervento. In soggiorno è bene predisporre una sedia stabile con un cuscino e mettere in dispensa i tappeti. Le scale dovrebbero essere evitate. A letto è meglio dormire con un cuscino fra le cosce per mantenere le anche abdotte riducendo il rischio di lussazione. La vita quotidiana va ripresa senza fretta: allo sport e alla guida si torna dopo 4-6 settimane. Photo© Depositphotos.com

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